Dopo una lunga esperienza nell’allevamento delle api, l’idea di individuare ceppi che possano essere espressione del territorio appare interessante. E’ evidente che per un apicoltore, obbista o anche che intraprenda questa attività come professionista, la caratteristica per lui più rilevante è la produzione di miele. I risultati delle ultime stagioni però, evidenziano produzioni sempre più in calo, sempre più gravose attività per il controllo delle sciamature e per la sanificazione delle famiglie. La cosa che incuriosisce però gli apicoltori più attenti ed esperti, è la grande differenza di performances che si possono rilevare in ambienti diversi o in apiari diversi. Ovvia la strettissima relazione dei risultati con il posizionamento degli alveari e delle codizioni ambientali che caratterizzano quel luogo, ma le cose che si possono notare sono anche altre.

Quali sono i fattori che determinano questi risultati così diversi ?

Sicuramente le potenzialità nettarifere di quel territorio, la condizione climatica e la piovosità della stagione, se vogliamo anche la perizia più o meno professionale dell’apicoltore. Incidono poi le malattie dell’alveare, gli avvelenamenti che derivano dall’uso spesso spropositato dei diserbanti e degli antiparassitari. Le fioriture che non sono più tanto distribuite nell’arco della stagione e varie come forse erano un tempo.

Ma anche le api non sono più quelle di un tempo, dicono gli apicoltori più anziani ed esperti. Da tempo si parla della diffusa ibridazione di quelle che erano le api dei nostri nonni, chiamate le api grige, Api locali, che si erano sviluppate in centinaia di anni e quindi perfettamente adattate al loro territorio. L’avvento del parassita varroa, ha indotto molti ad acquistare regine che provenivano da paesi lontani, nella speranza che queste potessero in qualche modo contrastare la diffusione e la virulenza di questo parassita mortale per le nostre famiglie. Ma l’unico risultato ottenuto è stato quello di disperdere un patrimonio genetico che aveva reso le api più forti nel loro ambiente di origine.

Se a questa abitudine che numericamente ha assunto proporzioni esagerate, si accomuna anche la grande diffusione di acaricidi che, nel tentativo di arginare il danno ha di fatto selezionato gli acari più forti,  la situazione delle nostre api non si presenta sicuramente come la più rosea.

La conclusione è presto detta: la sempra minore disponibilità di alimenti diversi, scarsa biodiversità dell’ambiente rurale, e la sempre più pesante interferenza di acari, farmaci acaricidi e pesticidi, hanno reso la vita difficile se non impossibile alle nostre povere api. I giornali riportavano sempre più frequentemente notizie di spopolamenti e perdita di alveari.

Nasce così l’idea di mettere in atto una ricerca di dati oggettivi, di parametri misurabili che diano una “fotografia” di quello che veramente accade nelle famiglie, e che si possano mettere in forma analittica. Questo per avere un dato preciso di fenomeni che, fino ad ora, sono stati spesso solamente il frutto di sensazioni o ipotesi di lavoro rilevati sulla base di esperienza , ma che non sono confrontabili e misurabili con altre realtà.

Partendo da api comuni, possibilmente donate da apicoltori che non abbiano l’abitudine di comperare regine esotiche, e rilevando le misurazioni settimanalmente con fotografie e numeri precisi, si vuole individuare quella famiglia, o quelle famiglie, che dimostrino di adattarsi meglio a questa situazione che, ormai, dobbiamo ritenere essere la norma. Convinti che un organismo vivente che è ben adattato al suo ambiente, al suo territorio, resiste meglio alle avversità e possa offrire risultati di tutto rispetto.

Abbiamo perciò deciso di attivare un apiario di valutazione, predisposto appositamente per le sperimentazioni e le valutazioni necessarie a raccogliere i dati precisi utili ad una selezione volta a salvaguardare le api locali, le api del nostro territorio. In questo apiario l’obiettivo primario non è quello di produrre il miele, o meglio, non solo quello di produrre tanto miele, ma capire alcuni aspetti che ci consentano di organizzare meglio il lavoro. Questo con la finalità di valorizzare quelle famiglie di api che, per la loro capacità di adattamento o per loro natura, sono meglio ambientate nei nostri territori. Recenti valutazioni, che hanno ancora bisogno di attente e rigorose conferme, hanno evidenziato una grande resilienza di queste famiglie di api che hanno un rapporto antico con il territorio.

Spesso gli apicoltori fanno il bilancio della stagione apistica, ma il bilancio di un allevamento così particolare come quello delle api, per le caratteristiche peculiari di questo insetto, non può tenere conto solamente del lavoro di un anno, ma deve guardare un arco temporale più ampio e anche al futuro. Spesso alcune pratiche che si utilizzano, mentre sembrano dare rendimenti maggiori nell’immediato, compromettono quelli che si potrebbero manifestare negli anni successivi, spostando sempre più in dietro il punto di partenza e rendendo sempre più difficile, di anno in anno, ottenere rendimenti soddisfacenti.

A tutto questo si sommano i cambiamenti del clima, così rapidi negli ultimi anni, che non consentono alle api, e forse nemmeno agli uomini, un adattamento graduale. Ed è ancora su questi temi che, se vogliamo avere una apicoltura nel futuro, dobbiamo ragionare tutti assieme, senza egoismi e avidità.

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